Fondi

L’albero di ceiba è alto circa 80 metri. Ci ospita tutti sui suoi poderosi e massicci rami: questi si allungano fino ad ospitare intere famiglie. Su di essi c’è tutto ciò di cui si desidera: case, coperte,giacigli, acqua, frescura, frutti. Da quando l’uomo è tornato a vivere sugli alberi non è più sceso a terra. Quella, la terra, l’uomo l’ha lasciata al suo destino: i palazzi che la riempivano sembrano essere diventati dei denti avvinghiati al tartaro verde dell’edera. E’ un albero speciale, quello del ceiba : le sue radici sono così profonde che dall’altro capo del mondo c’è esattamente un altro albero di ceiba uguale. E al centro della terra non c’è confusione tra le radici, perché sono tutte disposte in maniera parallela sullo spazio. E non temono nemmeno le alte temperature, queste robuste radici del ceiba; l’acqua che scorre attraverso di esse è talmente abbondante da annullare l’effetto del calore del nichel. L’uomo è stato così perentorio nella sua scelta di tornare a vivere sugli alberi, che ha rivestito il tronco dell’albero di aculei mortali e velenosi. Così le bestie della terra non osano avvicinarsi e l’uomo desiste da ogni tentazione di scendere.

Un giorno T* decise di scendere aiutandosi con una liana che toccava fino a terra. Poco dopo vidi, da lontano, il fumo di un fuoco acceso. Sull’albero di ceiba non c’è bisogno di accendere alcun fuoco.

T A L

T A L

 

 

 

Da quando A* è affondata la nostra vita non è cambiata di molto. I nostri corpi si sono adattati nell’acqua piuttosto velocemente e non è difficile poi camminare sul fondo. Dobbiamo avere sempre delle pietre in tasca, perché la sabbia è troppo fine e passa facilmente attraverso le sottili maglie dei nostri tessuti leggeri. Forse non siamo abituati al freddo del fondo del mare, ma ci abitueremo anche a questo. Continuiamo a visitare i nostri Templi, accendiamo i nostri fuochi, spostiamo i nostri vasi di fiori per abbellire i riti, recitiamo i nostri cori. I fuochi, si fa per dire, sono delle luminescenze che ricaviamo da alcune pelli di pesci. Quando dobbiamo sacrificare gli animali, il loro sangue si spande intorno e entra anche nelle nostre vie respiratorie; ci sentiamo di colpo caldi, febbrili, nervosi. Ci siamo abituati anche alla lentezza dei nostri movimenti: un saluto, uno starnuto, un inciampo, una corsa . Tutto richiede così tanto tempo che si possono guardare i muscoli che si attivano e quelli che rimangono molli, i tendini che tirano e il gesto che si compie. Abbiamo riscoperto la pienezza della pazienza. Le statue che sono scese in acqua con noi sono sempre più ferme e più fredde; in alto il sole è soltanto una pozza sgranata di metallo. Non ci manca poi così tanto, il sole.

L’altro giorno V* si è tolto i sassi dalle tasche ed è risalito in alto perché voleva prendere di nuovo aria. Molto lentamente. Abbiamo avuto il tempo di salutarlo e di dimenticarcene.

 

R E S

R E S