LetteraL

Mese: marzo, 2015

Attesa 1

Attesa 1.

REST

Attesa 1

Parrot Jungle, Miami (16)Sono passati dodici giorni e quattro mesi da quando ho deciso di chiudermi in questo fienile ad aspettare; intanto dimagrisco a vista d’occhio perché il mangiare è quello che è, un po’ di frutti, tanta verdura e qualche volta (e c’è da far festa) un piccolo tozzo di pane che mi regala una gentilissima famiglia che vive a qualche miglia da qui. Di acqua corrente neanche a parlarne e i miei vestiti li lavo nella cisterna che si riempie solo quando piove e io sono costretto a lavarmi con l’acqua che rimane dalla risciacquatura. I miei capelli sono tutti incrostati, stopposi e la mia barba ormai si è arrampicata ovunque; sembro una pianta che vuole crescere solitaria. Eppure continuo ad aspettare.

Ho allontanato tutti; i miei genitori, mio fratello che continua a non spiegarsi le ragioni del mio gesto, i miei amici a cui ho chiesto esplicitamente di venirmi a trovare solo una volta al mese e con un po’ di alcool, per rimanere con me al massimo due ore di pomeriggio. Ovvio dire che mi è costato tanto isolarmi a tal punto e così rigidamente; per l’esattezza ho pagato sette notti di pianto e di insonnia, due tentativi di fuga (prima e dopo le rispettive notti di cui sopra), un tentativo di ritornare per vedere solo i miei amici e mio fratello e mezza idea di farla finita così. Quando uno aspetta, la cosa più interessante da fare è contare tutto, dalle occorrenze di certi pensieri, ai denti in bocca, dai rami del pioppo di fronte la porta del fienile, alla stima di quanto fieno c’è in questa rimessa (ed è relativamente poco, tant’è che i miei genitori stanno pensando di rivenderlo). Chi aspetta sono io e per volontà mia; strano caso eh? Di solito si aspetta per cause esterne: persone, eventi, frasi, fenomeni, io invece ho deciso di aspettare.

Mi si chiami pure pazzo, mi si pensi come un ostinato testardo delle cause perse; io voglio stare ancora qui, in cima a questa collinetta sperduta in un’altrettanto solitaria landa americana (che per l’esattezza si estende a nord per sette miglia e mezzo fino al confine canadese).

Gli unici testimoni passivi della mia impresa emotiva sono questa vecchia tastiera Roland (con il suo amplificatore incorporato) del 1988, questo registratore a nastro (comodo se fossi vissuto vent’anni fa) e la mia mente, che conduce questo monologo. Sono giorni che mi scervello a comporre un brano, ma i risultati sono scadenti; vorrei tanto scrivere di quello che la mia mente pensa di te, ma sono incastrato ancora in questo collo di bottiglia dei troppi pensieri; troppe anche le parole. Le tue invece sono sempre state disarmanti per me, guerriero dall’armatura di terra: mi mandano al tappeto ogni volta, anche quando le ricordo perché sono semplici ma aguzze e, come la crosta con la mollica del pane, danno sapore agli altri miei pensieri.

L’altra notte mi sono addormentato poco dopo il tramonto perché di giorno ero andato a tagliare un po’ di legna per la sera e quindi ero molto stanco; non ho più un orologio e quello che porto al polso si è fermato almeno cinque giorni fa, ma credo di aver sognato, poco dopo aver preso sonno, un paesaggio spoglio e al tramonto, quasi come questa landa. C’era la tua voce che ripeteva in tono lento  e io, seguendo le tue parole, ne ho poggiato uno a terra, scavando un piccolo solco di qualche centimetro; poi la mia mano è stata afferrata e ho fatto qualche passo indietro (eri tu?) ma non mi sono girato a vedere chi fosse stato. Continuavo a fissare il prodigio che, invece, stava accadendo davanti ai miei occhi: in quel preciso punto in cui avevo seminato un mio dente, prima una duna, poi una collina, infine è nata una vera e propria montagna azzurra di tramonto, ma su cui si fece immediatamente giorno: ed era, penso, mezzogiorno quando mi svegliai.

Era un’allucinazione? un vero sogno? un sogno allucinato? E’ colpa di questa attesa che mi sta logorando come se mi trovassi in una tortura cinese? Ho cercato di scrivere subito quello che la mia mente mi aveva regalato, cercando di imprimerle anche una melodia, ma i miei sforzi sono stati subito raffreddati dal sudore che continuava a scendermi dalla fronte e dall’assenza di ispirazioni valide.

E intanto cambia la mia percezione del tempo e dello spazio; il mese è per me lungo e simbolico quanto un anno, con i suoi inizi pieni di buoni propositi. I miei amici continuano a dirmi che sono diventato un po’ ingenuo perché quando li rivedo, una volta al mese non faccio altro che notare i loro cambiamenti; dai capelli alla barba, dal carattere all’umore, cose che, a loro detta, non hanno mai notato neanche le loro ragazze (risapute geologhe del minimo cambiamento antropologico). L’ultima volta, uno di loro, mi disse scherzando, che se aspetto che l’amore venga a prendermi in questo fienile, farei meglio a sposarmi subito con una mucca. Risi sul momento, ma la mia mente non tardò a ricordarmi quando tu canticchiavi distrattamente  ; e ti sento aleggiare nell’aria.  Io rido, eccome se rido!, ma la mia ragazza, quella non ce l’ho qui e ora; quella che sarebbe disposta a vedermi cambiare sotto il segno del tempo e dell’attesa.

Lo spazio lo inizio a misurare con i miei arti, con i piedi e con le braccia e poi con le iarde; tutto ha preso una nuova misura e forse è l’unica che conoscevano i miei antenati e gli antenati degli antenati; la misura dell’uomo. E anche la lontananza ha preso un altro valore; è una lontananza fatta pensata e pensante, una condizione che si cuoce a fuoco lento e che non cessa un momento di stuzzicare e marchiarti a caldo con i pensieri. Infierisce fino a farti prendere coscienza dei tuoi limiti. Altro che tortura.

E ieri sulle pareti di questo fienile, intorno alle due dopo pranzo, sulla parete sinistra per la precisione, quella vicino alla finestrella, ho segnato con una rozza matita da muratore la frase 

e ho provato a leggerlo ad alta voce, imitando le tue parole e quel tuo tono di voce sabbioso, materico.

E i movimenti tutti, anche quelli della mia bocca quando mastico o parlo nel sonno, sono dei piccoli metronomi che tengono il ritmo della mia esistenza, come la mia ombra: tutto è attesa, centellinata nei gesti, nelle ore di sonno e di attività, ore risparmiate per recuperare del sonno dopo una giornata di ricerca di cibo destinato ad esaurirsi in una sola sera, ore bruciate per sciacquare i calzini e l’intimo nell’acqua gelida della bacinella. Lente clessidre si aggirano intorno a me e io stesso divento una clessidra fatta di granelli grossi, sbozzati male, che faticano a scendere; sono questi i miei pensieri per te che ora, sicuramente, starai dormendo.

Proprio questa notte ho dovuto sognarti e, questa volta, avevi un tono di verso, anzi una voce quasi irriconoscibile; eravamo seduti sul letto, ma alla nostra stanza mancava una parete, quella di fronte ai piedi del letto. Io col solito vizio di sedermi in punta, tu seduta con le gambe tirate su, incrociate e con le piante dei piedi che poggiavano sul lenzuolo. Io vestivo abiti invernali e il mio solito zuccotto nero che vorresti veder bruciare perché è liso, tu invece una portavi una succinta vestaglia estiva a bordi ricamati. Mi dicevi guardandomi 

Non poteva essere un tuo pensiero, perché queste esatte parole le avevo scritte ieri sera proprio sul bordo di una pagina, dopo che avevo provato per un paio di volte a lavorare su un giro di note che mi sembrava particolarmente interessante. Io, un po’ offeso perché mi avevi letto nel pensiero (o avevi sbirciato tra le mie carte dopo esserti assicurata che stessi dormendo?) continuo a fissare il panorama che stava davanti a me, che è esattamente lo stesso di quello che posso vedere fuori dal fienile, voltandomi a est. Quanto desidererei ora guardarti! Che stupido sono stato a non averlo fatto nemmeno in sogno, quando le possibilità smettono di essere contabili.

Sono le tue ultime parole nel mio ultimo sogno. Oggi mi sono svegliato di buon umore e, dopo aver pranzato con un po’ di verdura (fredda da far male ai denti!) mi sono seduto alla tastiera con ottimi propositi; primo fra tutti quello di comporre la melodia più bella che si possa concepire quando un uomo è destinato ad attendere. E aspetterò insieme a questa melodia, che sta sgorgando ora dalle mie mani, il giorno in cui te la farò ascoltare.